Rassegna stampa 14 novembre: Corriere dello Sport
Si dovrebbe stare a sentire Marco Laganà, playmaker di Ravenna, 17 punti nell’ultimo derby contro Imola,
un lancio nell’iperspazio del talento. Quella di Laganà è una storia di compromessi, e non è sempre
facile a 25 anni. «Sono cambiato, gli infortuni ti cambiano. Ho cambiato il mio modo di giocare. Ero più istintivo, ora sto lavorando per essere un play migliore. Sono stati anni difficili. A vent’anni ero considerato uno dei giovani emergenti, stare fermo e ripartire dalla A2 è stata dura da accettare. Ho resettato tutto. Tante volte ho pensato di lasciare. Dopo die sono andato via da Cantù ho passato un mese alla Viola Reggio Calabria, poi a Brescia. Quell’estate per un mese e mezzo non sono nemmeno entrato
in palestra. Se mi mancherà la pallacanestro vorrà dire che continuerò, mi dicevo. E’ successo».
DOLORE. E’ una storia di dolore, piena di volontà e dedizione per tirarsi su. «aver avuto tre operazioni
alle ginocchia ha modificato il mio assetto: devo compensare la mia corsa, mi vengono dolori in altre parti del corpo. Dopo il primo infortunio sono stato a letto un mese con la gamba tesa. Non mi potevo alzare, né piegare il ginocchio. Dopo tre settimane mi sono alzato per andare al bagno, mi sentivo
la gamba bruciare: era il sangue che circolava nelle vene. Sono sempre stato molto determinato,
sin da piccolo. Anche molto presuntuoso. Intorno ai quindici lo ero molto. Non arrogante, quello mai.
Sono determinato, perché credo in me stesso. La testa nello sport conta molto, anche più del talento».
Quella di Laganà è una storia di famiglia unita e gioia e bellezza. «Papà Lucio mi diceva sempre che chi mangia fa molliche. Vuol dire che se uno fa tante cose sporca anche tanto, è un compromesso. Per me la famiglia è tutto. Con mamma Katia e con papà ci sentiamo quattro volte al giorno. Mi danno grande energia. Da bimbo giocavo a tennis e pallamano; e a calcio a buon livello nella Reggina, facevo il difensore centrale. Ah, tifo Milan. I miei idoli erano Nesta e Kakà. Però i miei genitori mi hanno
sempre lasciato libero di scegliere. Pure se abbiamo una palestra con una scuola di minibasket. Si chiama Lumaka con la cappa. E’ un colpo di genio di mamma: sono i nostri nomi uniti, compresi quelli
di Matteo e Luca, i miei fratelli». BATMAN. E poi quella di Laganà è una storia di ambizioni. Come certi supereroi che non si arrendono mai. «Ho diversi tatuaggi: la lumaca sul polso, io con la
mia cagnolina Olivia che è nata il giorno che mi sono rotto il ginocchio
la prima volta. E poi ho il logo di Batman, il mio supereroe preferito. Da bambino per carnevale mi avevano comprato un costume, non me lo sono tolto per due mesi. Giravo con una Bat-mobile a pedali per la
casa. L’anno scorso mi sono ripromesso di non saltare più nessuna partita. So che andrà tutto bene, sono felice».
Giorgio Burreddu