Corriere di Romagna, 27 Maggio 2017: Ravenna, il basket e un finale aperto
Due squadre di Bologna, una di Trieste e una di Ravenna. Visto che si parla di basket trovare l’intruso è troppo facile: siamo noi. Inutile negarlo: abbiamo percentuali di successo sotto la soglia di sbarramento del sogno, ma sognare nello sport è l’unica cosa rimasta ancora gratuita. In una stagione che sembra la sceneggiatura di un film americano anni ottanta, manca solo il finale. Lo scriviamo tutti insieme da domani su un parquet che a Bologna chiamano umilmente il Madison. Un posto do- ve gli occhi di Sasha Danilovic incrociavano quelli di Lucio Dalla dopo una tripla. E basterebbe questo a chiuderla qui. Ma il basket è lo sport più bello del mondo. Dove bello sta soprattutto per imprevedibile. E del resto pensate alla stagione che sta facendo l’OraSì. Arriviamo in semifinale senza un palazzetto dove giocare, senza un americano su due per diverse partite e, per un giorno, senza nemmeno una palestra dove allenarsi a Ravenna nella settimana più decisiva. Non è questo il tempo delle polemiche, oggi si vivono i giorni del tifo e del sogno. Ma questa vicenda fa emergere ancora una volta -se mai cenefossebisogno-la cronica difficoltà tutta ravennate di gestire il proprio futuro in qualsiasi ambito. Una difficoltà ormai così radicata negli ultimi anni che quel futuro, ora, si chiama presente. Che si parli di play off di basket, dimostre d’arte nei musei, di canali del porto da scavare, di modelli di tu- rismo, di sviluppo urbanistico (leggi Darsena), tutto in questa città sembra ormai essere diventato incredibilmente complicato, lento, farraginoso. Si naviga a vista e, soprattutto, si naviga troppo poco. È vero che tutto questo fino a ieri non era assolutamente prevedibile, è vero che ora siamo diventati improvvisamente tutti e-sperti di basket, così come, ai tempi del Moro di Venezia, lo diventammo di vela. È vero anche che fino a cinque anni fa la pallacanestro a Ravenna era un hobby per cento persone da coltivare nella palestra di Geometri e oggi, invece, i vecchietti in piazza del popolo sembrano tutti DanPeter-son, ed è verissimo che a Ravenna il carro dei vincitori lo fanno a due piani, come a Londra. E’ vero tutto questo, ma il nostro essere ravennati fino al midollo non ci esime dal pensare a una città migliore, più moderna e per certi versi normale. E ora pensiamo al finale di questo film. Cerchiamo un modo per riscrivere la storia. Perché se la tradizione è davvero così influente, qualcuno ci deve spiegare cosa ci fanno allora Bologna e Trieste in A2. E perché con la Virtus finora non abbiamo mai perso? Vuoi vedere che la finale è possibile? E se la storia è qualcosa che segna il destino delle squadre e delle piazze, allora proviamo agirarla: c’è forse qualcosa di più fortitudine che perdere una finale play off con Ravenna? Il film si fa interessante. E a Hollywood le sceneggiature le fanno solo col lieto fine. Carmelo Domini