• 02/03/2017
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Il Resto del Carlino, 2 marzo 2017: Smith, il Signore dei Canestri

MANI grandi, piedi lunghissimi e un cuore grande così. Taylor Smith è il gigante buono dell’Orasi Ravenna, perfetta metafora di un sogno che sta contagiando mezza città. Con quel tiro libero a 6 secondi dalla fine, che domenica ha portato i giallorossi all’over time (poi stravinto) contro Ferrara, il centro texano di San Antonio è definitivamente entrato nelle grazie dei tremila del Pala de André. A 25 anni, al secondo anno a Ravenna dopo due stagioni a Rodi nella Al ellenica, è stato eletto sul campo idolo di decine di ragazzini che, a fine partita lo aspettano per un appuntamento ormai fisso, ovvero quello con la ‘Dab dence’ cioè il saluto tanto di moda. Poteva uscirne uno schiacciatole di volley, e invece – 198 cm di muscoli dentro il corpo di un ragazzone timido e ‘cucciolone’ – è diventato il miglior stoppatore della A2 italiana. Scusi Smith, di chi è il merito o di chi è la colpa? «Mamma Eva giocava a volley, schiacciatrice nel college. Papà Donald è un postino. L’elevazione l’ho presa evidentemente da mia madre; ma ha vinto papà, che per primo mi ha messo in mano il pallone da basket. Avevo 4 anni, e quel pallone ce l’ho ancora fra le mani». Sua madre non deve averla presa troppo bene… «Piuttosto che a football americano, mi ha sempre detto, è meglio che tu abbia giocato a basket». Ok, ma qual è il Taylor Smith segreto? «In realtà non ho molti segreti». Quando accende la tv, il primo canale sintonizzato qual è? «Mi piacciono i telefilm, guardo Top Crime. Ma seguo volentieri anche il soccer». Soccer? «Sì, il calcio. Guardo le partite della Juventus. Anche in Grecia le seguivo volentieri. Mi sono appassionato ammirando Pirlo, che poi è venuto a giocare negli States. Il suo gioco è come una melodia». Se non avesse giocato a basket? «Risposta facile, avrei giocato a volley». E se non avesse fatto sport? «Ho due lauree, una in chinesiolo-gia e una in comunicazione. Ma il mio sogno sarebbe stato quello di fare l’attore televisivo, o anche il cantante blues». Parliamo di cucina. Cosa mangia un texano a Ravenna? «Nel mio frigorifero troverete fette di ananas e sugo per la pasta. Il sugo però lo compro, perché non sono ancora capace di farlo da solo». Coca cola o sangiovese? «Non scherziamo. Coca Cola alla vaniglia, etichetta rossa e oro». Moussaka o cappelletti? «Facile, i cappelletti. Possibilmente quelli della nonna di Miro De Giuli o del Classensis». Il Taylor Smith fuori dal campo, preferisce il divano o fa il turista? «L’angolo di Ravenna che adoro è quello fra piazza San Francesco e la tomba di Dante. In generale però è bellissimo vedere dal vivo le cose che hai studiato sui libri di scuola, a Ravenna come a Roma». Parliamo di politica: Trump o Hillary? «Avrei preferito Obama, forever. Alla fine ho fatto il tifo per Hillary, ma solo perché era la meno peggio». Lei ha giocato 2 anni in Al in Grecia. Quali sono le differenze con la Lega italiana? «In Italia il gioco è più veloce; in Grecia è più fisico, ci sono dei veri giganti. Si giocano partite molto pericolose. Ricordo a Salonicco, contro l’Aris, durante la stagione regolare, che il match fu interrotto per lancio di oggetti in campo. In quel campionato è impossibile avere un rapporto coi tifosi e coi baby, come invece lo abbiamo qui a Ravenna». Smith, lei sta trascinando Ravenna su vette inesplorate del basket nazionale. Dicono che sarà difficilissimo trattenerla… «Penso solo a migliorarmi in maniera graduale, regalando soddisfazioni a Ravenna. La A1 potrebbe essere un obiettivo, ma non mi dispiacerebbe giocare una coppa europea». In un anno è passato dal 40 al 63% nei liberi. Come ha fatto? «In estate negli States mi sono allenato a lungo, cercando di standardizzare l’approccio e la preparazione al tiro: un solo palleggio e un respiro profondo». Quante erano le pulsazioni domenica, prima del tiro libero decisivo per andare al supplementare? «Parecchie. Sì, ammetto che erano parecchie… Ma sono riuscito a stare concentrato nonostante avessi gli occhi di tutti puntati addosso». E la ‘dab dance’ finale coi ragazzini, com’è nata? «Dopo un canestro ho festeggiato casualmente in quel modo. Non pensavo che mi avessero notato. Invece, al canestro successivo, ho visto i ragazzini col braccio alzato e la testa girata. E a fine gara lo abbiamo rifatto tutti insieme. Credo che l’appuntamento sia ormai fisso…». Roberto Romin


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