• 31/08/2009
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Riapre una casa dello sport ravennate

Ci vorrebbe una macchina del tempo per fare capire ai più giovani cosa abbia significato il palazzetto dello Sport della Darsena (intitolato dal 1980 ad Angelo Costa) per la pallavolo, per il basket, e non solo. Fino al 1956 la Robur giocava all’aperto (al Ricreatorio) o alla Cavallerizza (ora più nota come ex chiesa di San Nicolò, all’angolo fra via Baccarini e via Rondinelli; dove, tra l’altro, i cestisti giallorossi nel 1951 giocarono nella massima serie affrontando le allora corazzate Borletti Milano, Virtus Bologna e Vuelle Pesaro; poi, la pallacanestro trovò rifugio all’aperto della Casa del Popolo. Come dire che la città aveva una “terribile” urgenza di un adeguato impianto al coperto. E così, grazie ad un accordo tra il Coni ed il Comune, a metà degli anni Cinquanta venne realizzato il palazzetto dello sport. Era un progetto standard: piano di gioco dalle dimensioni di quelle attuali, una tribuna da trecento posti più tre palestre per pugilato, lotta e scherma.

Col ritorno della Robur nella massima serie di pallavolo (1963-64) il palazzetto dello sport Coni divenne veramente il fulcro dello sport dilettantistico ravennate ed immediatamente una “tana” difficile da espugnare. Doppio fu il grande battesimo internazionale: nel settembre 1962, Italia-Polonia maschile con vittoria al quinto set degli ospiti in cui già giocavano Ambroziak e Wagner; e, soprattutto, nel luglio 1964 perchè segnò il debutto assoluto in Italia della nazionale delle meraviglie, quel Giappone (con Nekoda e Minami, fuoriclasse eccelsi) che di lì a poco avrebbe vinto Mondiali ed Olimpiadi. Fu ovviamente 0-3; quella sera accorsero in centinaia (con persone arrampicate sui muri) e tenere conto che allora non c’era una sola tribuna. Fra Robur e Vigili del Fuoco Casadio, squadre tutte composte da giocatori ravennati (Bondi, Mattioli, Meldolesi, Galan, Brusi, Tartagni, De Lorenzi da una parte; Guerra, Bendandi, Ricci, Beppe e Gianni Errani, Baldani, Casali, De Pol, Cesare Santi, Rambelli dall’altra, tanto per ricordarne alcuni) c’era una bella rivalità: nel 1965-66 si giocarono due derby stracittadini in A, tornando all’epoca pionieristica dell’immediato dopoguerra quando militavano in A anche Adriatica, Garibaldina e Ruentes. Dicevamo della “tana”: Già, in quegli anni tutti li squadroni, con tanto di scudetto sul petto, pagarono pegno: Ruini, Panini, Cus Parma, per non parlare di Catania e Roma. Il clima era veramente infuocato e talvolta si andò oltre le righe: in due riprese, ciqnue giornate di squalifica del campo per una “cicca” di sigaretta spenta sulla guancia di un arbitro e per un’ombrellata in testa ad un arbitro. Tutte le squadre ospiti sapevano che, uscire vincitrici da Ravenna, sarebbe stata un’impresa. Per non parlare poi, sempre in campo pallavolistico, della Virtus e, soprattutto, dell’Olimpia Teodora. Nel 1974 con l’Olimpia (ragazze) e nel 1976 col Casadio (juniores) dei vari Recine, Venturi, Boldrini e dello stesso attuale presidente Luca Casadio, fu festa grande per la conquista, sul campo di casa, dei rispettivi scudetti di categoria.

Nel 1979-80 il Comune decise l’ampliamento con la realizzazione della tribuna (nuova) da 700 posti ed all’ora l’impianto, intitolato ad Angelo Costa, potè dirsi un palazzetto dello sport. Il basket, alla fine degli anni Ottanta, con i presidenti Bettuzzi e Manetti, rialzò la testa, centrando due promozioni: a guidare i vari Patrizi, Caiti era – pensate un po’ – l’attuale coach dell’Acmar, Loris Giovannetti. Il pugilato, nel frattempo, aveva avuto la soddisfazione di vedere un proprio portacolori, Barlatti, conquistare in casa il titolo tricolore dei welters, mentre una ventina d’anni più tardi, Camerani fallì la scalata; senza dimenticare, che nella palestra e sul ring del PalaCosta, s’è forgiato quell’Alberto Servidei, poi campione tricolore ed europeo dei piuma.

La storia dello sport ravennate è passata da questo impianto che gli appassionati sentono veramente loro, ancora più del PalaDeAndrè. Era realmente il polo delle varie attività, affidato, per la conduzione, a custodi, che – chi più e chi meno hanno lasciato il segno; sopra tutti Rotondi e Giardini, che consideravano la palestra come la loro casa, come un luogo sacro che andava prima di tutto rispettato. Il PalaCosta è dunque un simbolo che va difeso e valorizzato. Dall’ottobre 1998, quando dal soffitto iniziarono a cadere le prime gocce che resero impraticabile il campo, e suonò quindi il campanello d’allarme sull’agibilità, s’era aperto un vuoto che nessuna soluzione è mai riuscita a colmare. Sono stati undici anni di esilio e purgatorio, che fortunatamente sono coincisi col ritorno del volley maschile sulla scena nazionale.

Umberto Suprani

da “Il Resto del Carlino”, 01/09/2009

 


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